giovedì 10 novembre 2011

Paesaggio da Salvare



L’oasi di Marezzane, Parco naturale regionale della Lessinia, paesaggio intatto tra la Valpolicella, terroir vitivinicolo veronese d’eccellenza, e le Prealpi: sarà sbancata per una miniera a cielo aperto di marna da cemento


Il Bel Paese è sempre più brutto e non investe sulla prima risorsa: la bellezza dell’ambiente storico e naturale

L'Arena - mercoledì 02 Novembre 2011
di MariaTeresa Ferrari

L’Italia perde ogni anno ben 50mila
ettari 
di terreno 
agricolo e verde
MAURO AGNOLETTI

UNIVERSITÀ DI FIRENZE







Il paesaggio è una risorsa ma noi non ce ne rendiamo conto.
Nonsolo i politici e gli amministratori,che permettono la distruzione della bellezza, storica e naturale, per cui il BelPaese è famoso nel mondo. Ma anche noi cittadini non comprendiamo che il paesaggio è rovinato dal nostro agire.
Continuiamo a distruggere un patrimonio di memoria e cultura che è il fondamento della nostra identità morale,civile e spirituale. Pur essendo assente dalla politica nazionale, la valorizzazione del paesaggio rappresenta una delle sfide di oggi e di domani, una preziosa risorsa del Paese per una ripresa culturale, economica e civile.
A battersi da anni su questo fronte è Mauro Agnoletti, docente di pianificazione del territorio rurale e di storia ambientale all’Università di Firenze e coordinatore del laboratorio per il paesaggio e i beni culturali e del gruppo di lavoro sul paesaggio al ministero dell’Agricoltura.
Coordinatore del convegno «Produrre Cultura: patrimonio, paesaggio, industria creativa», tenutosi a Firenze, a Palazzo Vecchio, Agnoletti ha ribadito il ruolo fondamentale che il paesaggio ha nel capitale su cui si fondano le possibilità di sviluppo e produzione di valore aggiunto.
L’alluvione inToscana e in Liguria è stato l’ultimo, tragico monito: «Nelle Cinque Terre sono rimasti in piedi i terrazzamenti in buono stato di conservazione, mentre i boschi di pino e altro, che hanno invaso le aree abbandonate, sono franati». Come dire che non solo non bisogna costruire in zone franose, ma è auspicabile che il territorio non venga abbandonato, altrimenti il rischio che frani è alto. «Il paesaggio italiano nel suo complesso — paesaggiurbani, periurbani e rurali— è minacciato da fenomeni diversi», riassume l’esperto.
«Il paesaggio agrario risente soprattutto dall’abbandono e dal ritorno del bosco spontaneo sui terreni abbandonati e sui pascoli. Altro fenomeno è l’industrializzazione dell’agricoltura che ha degradato il mosaico paesaggistico. Ambedue i fenomeni hanno banalizzato e omogeneizzato un paesaggio un tempo molto vario e ricco di biodiversità. I paesaggi urbani, invece, hanno perso soprattutto in termini di qualità: l’espansione delle periferie e le nuove urbanizzazioni non hanno tenuto conto della qualità architettonica, si sono sviluppate in modo disordinato, senza una buona pianificazione».
LA MAPPA della bruttura è desolante.
«Le aree più degradate sono quelle periurbane. Penso a Milano, Roma, Napoli, dove le periferie sono cresciute in modo caotico, erodendo le zone agricole più fertili intorno alle città. Ma anche le aree costiere, in particolare quelle del sud. Le coste sono deturpate da una cementificazione incontrollata, dettata anche dall’abusivismo che ha fatto danni terribili». Eppure non manchano gli esempi vituosi, anche in casa nostra. «Il paesaggio è salvaguardato, dal punto di vista dell’urbanizzazione, in Alto Adige, come in Scandinavia, in Austria e nella campagna inglese. Gli inglesi hanno sempre apprezzato il nostro paesaggio agrario; non a caso negli ultimi decenni molti di loro hanno acquistato casa in Toscana, adottando il Chiantishire».
Si sono abbastanza salvate le zone collinari,meno suscettibili alle grosse urbanizzazioni.
«La cementificazione e la cattiva qualità degli insediamenti urbanistici colpiscono la pianura, mentre la montagna risente dell’abbandono. Il forte fenomeno di migrazione comporta che le montagne e le colline abbandonate dall’agricoltura generino dissesti idrogeologici e altri rischi ambientali. Il nostro territorio cade a pezzi e spesso ci dimentichiamo che sono proprio gli agricoltori a controllarlo tramite le pratiche agricole tradizionali che ne conservano la biodiversità oltre alla qualità».
Se negli ultini 100 anni l’Italia ha perso 12 milioni di ettari di terreno agricolo, il consumo del territorio superstite continua al ritmo forsennato di 50 mila ettari l’anno (dati di Legambiente).
È un dato solo apparentemente positivo l’ampliarsi delle aree boschive.
«L’incontrollata forestazione», dice Agnoletti, «ci ha portato da quattro milioni di ettari di bosco a 10 milioni 500mila, con aumento della fauna selvatica, ormai fuori controllo, e necessità di importare prodotti alimentari dall’estero, fra i quali il 50% dei cereali».
COSA comporta sprecare tanto terreno agricolo, cementificandolo o lasciandolo incontrollato?
«Fa riflettere che tutto questo in Italia non sia considerato un problema. Negli ultimi 40 anni l’industrializzazione ha degradato il paesaggio agrario, determinando la scomparsa delle colture agricole tradizionali e la perdita della originaria biodiversità.
Dai tempi di Plinio fino agli anni Cinquanta del Novecento, nelle zonea più alta vocazione agricola, come la Pianura Padana, si integravano flora arboree e culture cereagricole.
Oggi dilagano le monocolture industriali. Il colmo è che quello che noi consideriamo “moderno” è in realtà desueto: studi scientifici internazionali dimostrano che le tipologie di paesaggio del passato, con la tradizionale rotazione delle colture, sono più efficienti».
Eppure l’identità territoriale è «un valore aggiunto inestimabile», sintetizza l’esperto.
«Il valore di una bottiglia è dato per il 60% dal luogo di produzione.
Un buon vino oggi si può fare dappertutto; è il paesaggio associato all’etichetta a rendere il prodotto unico e più competitivo. A dargli quel valore aggiunto non riproducibile dalla concorrenza».
I guru del marketing la chiamano identità competitiva, «valorizzare il rapporto fra qualità del paesaggio, produzione e turismo. Solo assicurando un fecondo rapporto fra processi produttivi e qualità del paesaggio, potremo puntare ad avere nuovi flussi turistici».
Qual è la strada possibile tra conservazione e sviluppo? «La soluzione è indirizzare i processi produttivi verso obiettivi di qualità paesaggistica che tengano insieme economia, ambiente e società.
È errato ritenere che la conservazione sia contrapposta allo sviluppo; al contrario essa rappresenta uno dei nuovi volti dell’innovazione per la società contemporanea».
Ma l’Italia non investe sul paesaggio,la sua prima risorsa.
«Nel dibattito sulla crescita, il paesaggio e i beni culturali sono purtroppo assenti. Non si tiene conto che il patrimonio paesaggistico rappresenta un capitale sul quale investire per assicurare il progresso economico e sociale della nazione»

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